BLOCCARE I LICENZIAMENTI É UNA FALSA SOLUZIONE
Il tema è delicato, va a toccare quel che per tutti noi è un tema vitale: il lavoro e il posto di lavoro, che è un po' come dire una gran parte della vita di tutti noi. Però fatta qualche riflessione a proposito di quanto deliberato dal Governo nei giorni scorsi, con la proroga del blocco dei licenziamenti decisi – allora sì, comprensibilmente – nel pieno della pandemia. Qualche mese fa la decisione appariva sensata: c'era un Paese piegato, tutto era fermo, c'era grande paura e confusione. Il decidere – a quel tempo – che le aziende non potevano licenziare, e che quindi il posto di lavoro era salvo, serviva a dare un elemento di fiducia importante a tutti gli italiani. Ma adesso la pandemia, pur con tutte le cautele che dobbiamo mantenere, è finita o meglio: il lockdown è cessato, si è tornati a circolare, i mercati hanno riaperto, le aziende sono chiamate a fare quel che han sempre fatto: lavorare e far lavorare. Ma il Governo, come detto, ha deciso che le imprese non possono licenziare. Non starò qui a dire di eventuali eccezioni, non citerò norme che impongono il preliminare ricorso all'utilizzo integrale della cassa integrazione Covid, né le molteplici articolazioni e precisazioni che portano alla fin fine a quel che ho detto agli inizi: c'è il divieto di licenziare. Naturalmente molti cittadini potrebbero anche dire: bene, è giusto, c'è stata la pandemia ci mancherebbe anche di perdere il posto di lavoro, meno male che c'è la cassa integrazione e il divieto di licenziare!
Non è proprio così. Anzitutto mi permetto di ricordare che i lavoratori “licenziati” avrebbero naturalmente il diritto al trattamento di disoccupazione, “escono” dalla cassa integrazione ed entrano nel trattamento di disoccupazione. Ma il problema vero, sul quale invito tutti a riflettere, è un altro e sta a monte di tutto questo. Abbiamo avuto il blocco dell'attività industriale e artigianale, i mercati per la gran parte erano chiusi. Oggi hanno riaperto, ma non per tutti, e le incognite sono tante. In alcuni Paesi, per esempio la Spagna, l'industria della ceramica ha di fatto sempre lavorato ed inevitabilmente, ha rubato molti clienti alle aziende italiane. Ora, queste nostre aziende che cosa debbono aspettarsi? Forse recupereranno clienti o forse no. E questo, si badi bene, vale per tante, tantissime realtà, molte piccole o piccolissime e di molti settori. E quindi che si fa? I conti non perdonano. E' inevitabile e doveroso per le aziende fare i conti e in qualche caso, per farli quadrare – per quanto la cosa possa apparire “dura” da dire – serve avere meno personale, per l’esigenza improrogabile di abbassare i costi fissi.
Intuisco le possibili obiezioni di alcuni. Conosco e rispetto il dettato Costituzionale sul diritto al lavoro, ma il lavoro, per così dire, non si crea per legge. Per le imprese, e penso in particolare ai miei colleghi artigiani, licenziare è doloroso e rappresenta in molti casi una perdita di professionalità costruita negli anni. Ma l'alternativa è il fallimento e lì, sì, tutti perdono: dipendenti, imprenditore, creditori, Stato.
Il Governo deve togliere questa norma, consentire i licenziamenti ove necessari per dare modo alle aziende di riorganizzarsi e risanarsi e quindi restare sul mercato con meno addetti ma con la prospettiva di sopravvivere e di poter tornare a crescere e quindi a riassumere. Meglio un'azienda viva con tre addetti che una moribonda con sei, se l’azienda vive, prima o poi, riassume. Chiudo con un suggerimento operativo. Perché il Governo, anziché allungare a dismisura il sostegno al non-lavoro, non agevola il reimpiego dei lavoratori, ad esempio investendo, in modo incisivo sulla loro formazione professionale, onde agevolare una più facile e proficua ricollocazione nel mercato del lavoro? Un meccanismo di incentivi fiscali anche di media, e non già, di sola breve durata potrebbe essere, a mio parere, un modo per dare lavoro, tenere vive le aziende ed agevolare ulteriormente la riqualificazione professionale del dipendente, nell’ottica di acquisire sempre maggiore professionalità e possibilità di reinserirsi agevolmente nel mercato del lavoro. Per fortuna ci sono anche aziende che assumono e potrebbero magari farlo in misura maggiore se ci fosse un meccanismo di incentivi fiscali nel caso dessero un posto di lavoro a chi il lavoro l'ha perso per l'effetto-Covid, un po' come, un tempo quando si era agevolati se si attingeva alle liste di mobilità. Mi sembra paradossale che il mondo civile e sociale riconosca l’importanza delle aziende ed il valore degli imprenditori solo nei momenti drammatici, ma costoro con i loro collaboratori sono sempre gli stessi in prima linea a fare la differenza in questo Paese, creando economia, benessere sociale ed insegnamento alle future generazioni. Quindi un patrimonio da valorizzare, proteggere e sostenere. SEMPRE.
BORTOLO AGLIARDI
Presidente Associazione Artigiani